ORE GIAPPONESI

Ogni stanza ha un’alcova detta tokonoma, riservata ad una o più cose belle – una pittura, una poesia tracciata in delicati geroglifici, una scultura antica, un vaso – ed a qualche fiore sapientemente disposto. Quando il padrone o la padrona di casa sono persone di gusto, tutto è legato da segrete armonie; opera d’arte e fiori si completano come note d’un canto armonizzato, spesso ad evocare o a commentare un dato stato d’animo od un dato evento: arrivo, gioia, primavera, partenza, amore, natura, tristezza, montagna, congratulazioni, l’infinita ricchezza dei moti del cuore e dei volti del mondo.

FEDERICO BUFFA  parla di ORE GIAPPONESI
Domenica 17 marzo 2019, ore 11:00

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ORE GIAPPONESI

Per molti aspetti il Giappone di oggi somiglia alla Svizzera: due paesi nei quali tutto, dai treni alle poste, dagli alberghi ai negozi, dalle fabbriche, alle banche, alle università, funziona come un’orologeria mirabilmente oliata, che non conosce inceppi. Resta solo una grossa differenza: che la Svizzera non offre misteri, mentre il Giappone è misteriosissimo. In un certo senso il Giappone guerresco e aggressivo degli anni Trenta e Quaranta era abbastanza trasparente e comprensibile; ma i giapponesi dei giorni nostri, i quali, dopo essere rimasti stesi a terra nel ’45, finiscono in meno di mezzo secolo per costruire una delle maggiori potenze industriali, commerciali e finanziarie del globo, pur non vantando il possesso di vasti territori né avendo a disposizione materie prime – ecco qualcosa che sfiora l’enigma, cha ha sapore di magia e d’occulto! Soprattutto quando vediamo che gli artefici della straordinaria cavalcata ci si presentano in genere come individui anonimi, confusi nella folla con un fare spesso impacciato. Cosa li anima? Quali sono i loro segreti? Come conoscerli davvero? Come capirli? L’asse portante del libro è costituito dal racconto di una lunga e lenta peregrinazione attraverso il Giappone, effettuata in macchina a metà degli anni Cinquanta, in compagnia di giapponesi e di stranieri.

Fosco Maraini bilingue italo-inglese fin dalla nascita, crebbe e si formò nell’ambiente intellettualmente vivace proprio del suo nucleo familiare e della Firenze degli anni 1920 – 1930. Nel 1934, spinto dalla sua immensa curiosità nei confronti dell’Oriente, si imbarcò sulla nave Amerigo Vespucci come insegnante di inglese, visitando l’Africa del Nord e l’Anatolia. Nel 1935 sposò la pittrice siciliana Topazia (1913-2015), dell’antica famiglia Alliata di Salaparuta, principi di Villafranca, da cui ebbe le tre figlie Dacia (Firenze, 1936), Yuki (Sapporo, 1939 – Rieti, 1995) e Toni (Tokyo, 1941). Maraini si laureò in Scienze Naturali e Antropologiche all’Università degli Studi di Firenze. Nel 1937 raggiunse l’orientalista maceratese Giuseppe Tucci[1], che conosceva assai bene sanscrito, tibetano, hindi, nepali, bengali e altre lingue asiatiche, in una spedizione in Tibet, alla quale ne sarebbe seguita un’altra undici anni più tardi, nel 1948. Da tale esperienza scaturì la grande passione che lo portò a dedicarsi allo studio delle culture e dell’etnologia orientale e a scrivere prima Dren Giong (Vallecchi Ed., 1939) e poi Segreto Tibet (De Donato editore, 1951). Prima della seconda guerra mondiale, Maraini si trasferì in Giappone, dapprima nel Hokkaidō, a Sapporo, e poi nel Kansai e a Kyōto, come lettore di lingua italiana per la celebre università locale. L’8 settembre 1943 si trovava a Tokyo e rifiutò, assieme alla moglie Topazia, di aderire alla Repubblica di Salò. Venne quindi internato in un campo di concentramento a Nagoya con tutta la sua famiglia. Durante la prigionia compì un gesto d’alto significato simbolico per la cultura giapponese: alla presenza dei comandanti del campo di concentramento si tagliò l’ultima falange del mignolo della mano sinistra con una scure. Non ottenne la libertà, ma una capretta e un orticello permisero alla famiglia Maraini di sopravvivere.

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